Servizi infragruppo: per superare il giudizio di inerenza occorre una puntuale documentazione. I criteri della Corte di Cassazione

Lorenzo Consonni e Davide Vecchione

Articolo tratto da “ItaliaOggi” –  24 maggio 2022

Alcune ultime pronunce della Corte di Cassazione (nn. 7745 e 7752, marzo 2022) offrono lo spunto per una riflessione riguardo all’importanza di documentare correttamente, all’interno della documentazione di transfer pricing, le operazioni intercompany aventi ad oggetto il riaddebito di costi intercompany, ancorché privi di mark-up e alla necessità per il contribuente di possedere un corredo documentale/contabile puntuale e dettagliato.

Come noto, la predisposizione da parte del contribuente di una documentazione sui prezzi di trasferimento idonea a consentire il riscontro della conformità delle operazioni infragruppo al principio di libera concorrenza consente a quest’ultimo di beneficiare dell’esonero dalle sanzioni amministrative (c.d. penalty protection) in caso di rettifiche da parte dell’autorità fiscale.

Al fine, tuttavia, di non vanificare tale beneficio, si segnala la necessità di prestare particolare attenzione alle operazioni che hanno ad oggetto servizi intercompany.

Nella prassi, in sede di verifica, l’autorità fiscale sovente, contesta l’inerenza dei costi intercompany e la relativa indeducibilità di quest’ultimi in capo al contribuente che invece ritiene di averli sostenuti.

In tale caso, come intuibile, la contestazione si sposta su una differente fattispecie e non verte su questioni relative al transfer pricing, riguardanti la corretta applicazione dell’art. 110, comma 7 del TUIR, ma bensì sull’errata applicazione dell’art. 109 del TUIR.

La contestazione ai sensi dell’art. 109 del TUIR determina, quindi, l’impossibilità per il contribuente di rientrare all’interno della disciplina del transfer pricing, con la conseguente inapplicabilità del beneficio della penalty protection, anche qualora la documentazione di transfer pricing sia considerata idonea dai verificatori.

Tale riflessione prende spunto proprio dalle recenti sentenze della Corte di Cassazione che si sono pronunciate riguardo alla deducibilità di costi intercompany, offrendo dei criteri importanti a cui attenersi per la corretta documentazione di tali operazioni.

La Corte ha ribadito innanzitutto come l’amministrazione fiscale sia tenuta a contestare non il concreto vantaggio fiscale conseguito dal contribuente, bensì l’esistenza di transazioni intercompany ad un prezzo apparentemente differente da quello di mercato.

Spetta, dunque, al contribuente, che afferma di aver ricevuto il servizio, l’onere di dimostrarne l’effettiva esistenza ed inerenza.

Inoltre, circostanza molto importante, il contribuente deve dimostrare un’effettiva utilità e che quest’ultima sia obbiettivamente determinabile ed adeguatamente documentata.

Al riguardo, la Corte non ha ritenuto sufficiente la mera contabilizzazione delle spese sostenute dal contribuente. Ciò che rileva per la Corte è l’esistenza di una documentazione di supporto da cui ricavare, oltre che l’importo, la ragione e la coerenza economica dell’operazione.

La Corte ha altresì contestato la produzione da parte del contribuente di un contratto intercompany generico, senza la specificazione di impegni negoziali dettagliati.

Ciò posto, dalle indicazioni fornite dalla Corte, emerge l’importanza per i contribuenti che ricevono servizi intercompany di conservare ed eventualmente integrare la documentazione di supporto, da cui possa risultare in modo inequivocabile l’effettiva esistenza del servizio e l’utilità dello stesso.