1. RATIO E PRINCIPALI NOVITA’

La normativa di cui in analisi si inserisce in un più ampio contesto caratterizzato da vari interventi succedutisi nel tempo.

Per restringere il campo potremmo prendere in considerazione il lasso di tempo compreso tra l’emanazione del d.lgs. 14/2019 ed il 15.07.2022, quale data di entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII).

La ratio del legislatore è quella di provare ad anticipare l’intervento statuale al fine di collocare lo scenario “fallimentare” come estrema ratio di ogni scenario di crisi delle società.

Parallelamente, nell’intenzione del legislatore si ravvisa un’evidente finalità deflattiva che restringe in modo significativo l’eventuale necessità di un intervento “giurisdizionale forte”.

In quest’ottica si colloca l’anticipazione dell’analisi e della rilevanza delle dinamiche societarie.

In particolare, la modifica dell’art. 2086 c.c. (il cui secondo comma oggi impone all’imprenditore “il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”) esplicita l’obbligo normativo della società di adoperarsi sia in via preventiva per evitare scenari che minino la continuità aziendale sia – una volta emersa la situazione di difficoltà – adottando uno degli strumenti previsti dal CCII.

Il Codice della Crisi ha introdotto una nuova definizione di “Strumenti di Regolazione della Crisi”, intendendo per tali quelle misure, accordi e procedure – di seguito descritti – volti principalmente al risanamento della crisi, mediante la negoziazione di un piano che miri alla continuità dell’impresa (e, solo in via residuale, alla liquidazione del patrimonio e delle attività dell’impresa stessa).

Per la prima volta, il legislatore ha individuato una disciplina organica e funzionale anche alla soluzione della crisi che riguarda i Gruppi di Imprese (definiti dall’art. 2, comma 1, lett. h, CCII), prevedendo la facoltà – e non l’obbligo – di più imprese o società appartenenti a un gruppo di presentare, con unico ricorso, la domanda di accesso al concordato preventivo o di omologazione dell’accordo (o degli accordi) di ristrutturazione dei debiti. Più imprese in caso di insolvenza, appartenenti al medesimo gruppo, possono essere assoggettate ad un’unica procedura di liquidazione giudiziale. 

  1. PRESUPPOSTI PER L’ACCESSO AGLI STRUMENTI DEL CCII

Le definizioni di crisi e di insolvenza sono state dettate dal legislatore della riforma all’art. 2 CCII.

In particolare, è definita crisi “lo stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza e che si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi (comma 1, lett. a)”.

Il concetto di insolvenza è, invece, definito dal comma 1, lett. b della richiamata disposizione come: “lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni”.

 Il legislatore ha “tipizzato” (nonostante rimanga astrattamente interpretabile il rigore dell’elencazione quale fonte esemplificativa esaustiva o meno) il concetto di “segnali per l’emersione della crisi” elencando – all’art. 3, comma 4, CCII – i seguenti parametri oggettivi:

  • l’esistenza di debiti per retribuzioni scaduti da almeno 30 giorni pari a oltre la metà dell’ammontare complessivo mensile delle retribuzioni;
  • l’esistenza di debiti verso fornitori scaduti da almeno 90 giorni di ammontare superiore a quello dei debiti non scaduti;
  • l’esistenza di esposizioni nei confronti delle banche e degli altri intermediari finanziari che siano scadute da più di 60 giorni o che abbiano superato da almeno 60 giorni il limite degli affidamenti ottenuti in qualunque forma, purché rappresentino complessivamente almeno il 5% del totale delle esposizioni;
  • l’esistenza di una o più delle esposizioni debitorie nei confronti del Fisco, dell’INAIL e dell’INPS nelle soglie previste dal nuovo articolo 25-novies, primo comma, CCII.

Il Legislatore ha, dunque, inteso delineare un procedimento unitario di accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza e alla liquidazione giudiziale (una sorta di “contenitore processuale comune”).

  1. COMPOSIZIONE NEGOZIATA DELLA CRISI e SEGNALAZIONI PER L’EMERSIONE ANTICIPATA DELLA CRISI

Con l’introduzione della composizione negoziata della crisi di impresa (artt. 12 – 25-bis CCII), il legislatore ha inteso favorire il risanamento di quelle imprese che, pur trovandosi in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario tali da rendere probabile l’insolvenza, hanno le potenzialità necessarie per restare sul mercato.

Si tratta di uno accordo stragiudiziale, volontario (su istanza dell’imprenditore) e coperto da riservatezza, almeno fino a quando non si renda necessario il ricorso al Tribunale (ad es. per la richiesta di misure protettive del patrimonio), con conseguente pubblicazione in registro imprese della relativa istanza processuale.

Si accede alla procedura mediante il deposito di un’istanza alla Camera di Commercio di appartenenza, che individua discrezionalmente l’Esperto (indipendente), il quale, verificate le concrete prospettive di risanamento dell’impresa, dovrà agevolare le trattative tra l’imprenditore – che per tutta la durata della procedura manterrà intatto il potere di gestione ordinaria e straordinaria dell’impresa – i creditori e gli altri possibili soggetti interessati, con la prospettiva di un accordo che ristrutturi il debito e ripristini l’equilibrio economico dell’impresa.

Nel caso in cui le trattative si concludano con esito positivo, portando alla individuazione di una soluzione idonea al superamento della crisi, le parti, ai sensi dell’art. 23, comma primo, CCII possono alternativamente concludere:

  • un contratto con uno o più creditori (non tutti, anche solo quello o quelli sufficienti al superamento della crisi) idoneo ad assicurare la continuità aziendale per un periodo non inferiore a due anni;
  • una convenzione di moratoria ex 62 CCII;
  • un accordo tra l’imprenditore, l’esperto e i creditori.

Al fine di incentivare l’imprenditore in difficoltà a ricorrere alla composizione negoziata, il CCII detta una serie di misure premiali (art. 23 CCII) che incidono essenzialmente sulla misura e sulla modalità di pagamento dei debiti tributari, ossia:

  • la riduzione al saggio legale degli interessi sui debiti tributari, a far data dall’accettazione dell’incarico da parte dell’esperto sino alla conclusione delle trattative per la definizione di un accordo;
  • la riduzione alla misura minima delle sanzioni tributarie per cui è prevista l’applicazione in misura ridotta in caso di pagamento entro un determinato termine dalla comunicazione dell’ufficio che le irroga, se il termine di pagamento scade dopo la presentazione dell’istanza;
  • la concessione da parte dell’AdE (previa richiesta dell’imprenditore sottoscritta anche dall’esperto) di un piano di rateazione fino a un massimo di 72 mesi delle somme dovute e non versate a titolo di imposta sul reddito, ritenute alla fonte operate in qualità di sostituto d’imposta, IVA e IRAP non ancora iscritte a ruolo.

Ovviamente, per fruire di tali benefici la condizione necessaria è che le parti addivengano positivamente ad un accordo di composizione della crisi.

Ulteriori benefici a favore dell’imprenditore che accede alla procedura di composizione negoziata della crisi sono:

  • la sospensione degli obblighi di ricapitalizzazione e delle cause di scioglimento in caso di riduzione o perdita del capitale sociale, sino alla conclusione delle trattative o all’archiviazione dell’istanza di composizione negoziata (art. 20 CCII);
  • la non revocabilità dei pagamenti e delle garanzie poste dall’imprenditore nel periodo successivo all’accettazione dell’incarico da parte dell’esperto, purché coerenti con l’andamento e lo stato delle trattative nonché con le prospettive di risanamento esistenti al momento in cui sono stati compiuti (art. art 24, comma 2 CCII).

Se all’esito delle trattative non è individuata una delle soluzioni di cui al primo comma dell’art. 23 CCII, l’imprenditore può, ai sensi del comma secondo del medesimo articolo: (a) accedere al concordato preventivo “semplificato”, (b) predisporre un piano di risanamento; (c) domandare l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti; o (d) accedere ad uno degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza previsti dal CCII.

Al fine di agevolare la buona riuscita dalla procedura di composizione della crisi, il Legislatore ha inteso accordare all’imprenditore la possibilità di adottare misure protettive del patrimonio, che devono essere pubblicate nel Registro delle Imprese (così rinunciando in qualche modo alla “riservatezza” tipica di questa procedura).

Dal momento della pubblicazione dei provvedimenti che accordano le misure protettive del patrimonio (e per un tempo non superiore a 120 giorni) i creditori non potranno acquisire diritti di prelazione se non concordati con l’imprenditore, né iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari.

La procedura di composizione negoziata della crisi è stata inoltre corredata da un sistema di segnalazioni per l’anticipata emersione della crisi (artt. da 25-octies a 25-decies CCII), che hanno lo scopo di indurre l’impresa in crisi a valutare tempestivamente il ricorso alla procedura in esame.

Si tratta, in linea generale, di un sistema di vigilanza a mezzo del quale, su alcune categorie di soggetti qualificati, incombe l’obbligo di segnalare all’imprenditore la sussistenza di situazioni di probabile crisi o di insolvenza, tali da richiamare l’attenzione degli organi gestori e di controllo dell’impresa sulla necessità di fare ricorso all’accesso alla procedura di composizione della crisi.

Le segnalazioni si suddividono in tre tipologie:

a. le segnalazioni a seguito di controllo interno (gli organi di controllo delle società, ora tenuti a riferire agli organi amministrativi societari sulla sussistenza delle condizioni di accesso alla Composizione Negoziata);

b. le segnalazioni dei creditori pubblici qualificati (quali INPS, INAIL, Agenzia delle Entrate e Agenzia delle Entrate-Riscossione);

c. le segnalazioni derivanti da obblighi di comunicazione per banche e intermediari finanziari di cui all’art. 106 TUB, che nel momento in cui comunicano al cliente “variazioni, revisioni o revoche degli affidamenti”, ne danno notizia anche agli organi di controllo societari, ove esistenti.

Si evidenzia che con riferimento al punto c), il legislatore non ha previsto alcuna sanzione per banche e intermediari finanziari che non adempiano all’obbligo di comunicazione.

Non è però da escludersi che possa configurarsi, qualora dall’omessa comunicazione derivi un aggravamento dello stato di crisi, una responsabilità risarcitoria o in via diretta per lesione del credito o indiretta (concorso nell’inadempimento dell’organo di controllo).

  1. PIANI DI RISANAMENTO E ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE

Il Codice (art. 56) contiene una compiuta regolamentazione dei piani attestati di risanamento – sino ad oggi disciplinati solo con riferimento agli effetti, nell’ambito delle esenzioni da revocatoria fallimentare e dai reati di bancarotta – che ne mette in luce contenuti e ratio.

Si tratta di una soluzione prospettata dall’imprenditore in stato di crisi o di insolvenza che può portare ad un accordo proposto dall’imprenditore ai propri creditori, e che appaia idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della situazione economico finanziaria (art. 56, comma 1, CCII), il tutto con modalità totalmente privatistica, in via riservata (la pubblicità nel registro delle imprese è facoltativa), con il beneficio della protezione per gli atti compiuti e senza un controllo giudiziale.

Lo strumento in esame non presenta, al riguardo, alcuna novità.

La prospettiva secondo cui il piano attestato di risanamento produce effetti solo nel caso di suo insuccesso e di conseguente liquidazione giudiziale dell’imprenditore (tipica della previgente Legge Fallimentare), oggi deve ritenersi del tutto superata per il fatto che l’art. 56 CCII, non solo incentiva l’uso dello strumento, ma lo inserisce tra gli strumenti di regolazione della crisi, codificandone finalmente la forma, il contenuto e gli obblighi, anche documentali – dapprima elaborati dalla prassi, dalla dottrina e dalla giurisprudenza – fermo restando comunque l’ampio spazio lasciato all’autonomia privata nella definizione della manovra di risanamento.

Quanto agli aspetti formali, secondo il comma 2 dell’art. 56 CCII, il piano deve avere data certa.

Non si tratta propriamente di una novità, quanto del recepimento delle soluzioni che la prassi applicativa, la giurisprudenza e la dottrina hanno elaborato, in relazione all’esenzione dall’azione revocatoria dettata dal previgente art. 67 comma 3 lett. d) L. fall..

A completare detta disposizione è, invero, il comma 5 dell’art 56 CCII, a norma del quale gli atti unilaterali e contratti posti in essere in esecuzione del piano devono essere provati per iscritto e devono avere la data certa; ciò anche ai fini della esenzione nel caso di eventuale azione revocatoria promossa dagli organi della procedura della liquidazione giudiziale.

Il rischio, infatti, in assenza di data certa è che l’eccezione di esenzione da revocatoria possa essere respinta rendendo maggiormente probabile l’accoglimento dell’azione proposta dagli organi della procedura.

Quanto al contenuto, gli elementi minimi che il piano attestato deve contenere sono:

a) una rappresentazione della situazione economico, patrimoniale e finanziaria dell’impresa;

b) l’indicazione delle principali cause della crisi;

c) l’illustrazione delle c.d. strategie d’intervento per garantire il riequilibrio della situazione finanziaria e le relative tempistiche;

d) l’elenco dei creditori e dei crediti, rispetto ai quali si propone la rinegoziazione e lo stato delle eventuali trattative; e, con riferimento ai creditori estranei agli accordi, di precisare come l’imprenditore potrà assicurare il pagamento degli stessi alla scadenza;

e) gli apporti di nuova finanza;

f) la scansione temporale sulle azioni da porre in essere per la realizzazione del piano e i rimedi correttivi che prevedano soluzioni alternative per far fronte allo scostamento tra risultati raggiunti e obiettivi previsti dal piano;

g) la previsione di un piano industriale e l’evidenziazione dei suoi effetti sul piano finanziario.

Si tratta di elementi che, seppur non formalizzati nella legge fallimentare, sono stati sviluppati nella prassi applicativa dell’istituto.

Il piano di risanamento deve essere accompagnato da un’attestazione, resa da un professionista indipendente, sulla veridicità dei dati aziendali e sulla fattibilità economico-finanziaria dello stesso (art. 56, comma 3, CCII).

Tra le novità introdotte dal Codice, è da segnalare la previsione secondo cui l’esclusione opera anche con riguardo all’azione revocatoria ordinaria (art. 166, comma 3, lett. d), ult. capoverso).

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Il legislatore tenta, altresì, di rilanciare l’istituto dell’accordo di ristrutturazione dei debiti c.d. “ordinario” (art. 57 CCII) – concluso dall’imprenditore, anche non commerciale e diverso dall’imprenditore minore, in stato di crisi con i creditori che rappresentano almeno il 60% dei crediti e soggetto all’omologazione del tribunale – in coerenza con la logica di salvataggio della continuità di impresa.

La riforma di questo istituto è significativa. Il chiaro tentativo del legislatore è quello di rimuovere gli ostacoli che ne avevano in qualche modo limitato la diffusione. Di seguito, alcune novità:

  • l’obbligo in capo al debitore di un dovere di seria programmazione ex ante del percorso di ristrutturazione;
  • la valorizzazione della fase delle trattative;
  • l’enfatizzazione del dovere di buona fede a carico delle parti;
  • la previsione di un meccanismo ad hoc per la modifica del piano o degli accordi.

Nel novero delle principali novità, meritano menzione due speciali ipotesi di accordo di ristrutturazione ordinario:

  • l’accordo di ristrutturazione “agevolato (art. 60 CCII): l’utilizzo di tale strumento è riservato alle imprese che si trovano in uno stato di pre-crisi o comunque in uno stato di crisi ancora ampiamente reversibile. L’agevolazione consiste nel limitare la percentuale di creditori aderenti al 30% dell’esposizione totale (rispetto al 60% degli accordi ordinari) al duplice presupposto di (i) non proporre la moratoria dei creditori estranei agli accordi e (ii) non aver chiesto o aver rinunciato a chiedere misure protettive temporanee del patrimonio;
  • l’accordo di ristrutturazione “a efficacia estesa(art. 61 CCII): consente di estendere ai creditori “non aderenti” i contenuti dell’accordo pattuiti con i creditori aderenti (in deroga agli artt. 1372 e 1411 c.c.), superando così possibili atteggiamenti ostruzionistici da parte dei primi in conformità alla logica che permea l’impianto codicistico (la continuità d’impresa).

Il comma 2 dell’articolo 61 indica che per poter accedere all’accordo a efficacia estesa è necessario che:

  • tutti i creditori appartenenti alla categoria siano stati informati dell’avvio delle trattative, siano stati messi in condizione di parteciparvi in buona fede e abbiano ricevuto complete e aggiornate informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria del debitore nonché sull’accordo e sui suoi effetti;
  • l’accordo abbia carattere non liquidatorio, prevedendo la prosecuzione dell’attività d’impresa in via diretta o indiretta;
  • i crediti dei creditori aderenti appartenenti alla categoria rappresentino il 75% di tutti i creditori appartenenti alla categoria;
  • i creditori della medesima categoria non aderenti cui vengono estesi gli effetti dell’accordo possano risultare soddisfatti in base all’accordo stesso in misura non inferiore rispetto alla liquidazione giudiziale;
  • il debitore abbia notificato l’accordo, la domanda di omologazione e i documenti allegati ai creditori nei confronti dei quali chiede di estendere gli effetti dell’accordo.

5. CONVENZIONE DI MORATORIA E TRANSAZIONE FISCALE

La convenzione di moratoria, disciplinata dall’articolo 62 CCII, è conclusa tra un imprenditore, anche non commerciale, e i suoi creditori, ed è diretta a disciplinare in via provvisoria gli effetti della crisi. Ha a oggetto la dilazione delle scadenze dei crediti, la rinuncia agli atti o la sospensione delle azioni esecutive e conservative e ogni altra misura che non comporti rinuncia al credito. In deroga all’articolo 1372 cc, la convenzione è efficace anche nei confronti dei creditori non aderenti che appartengano alla medesima categoria.

Per poter accedere alla convenzione di moratoria è necessario rispettare tutte le condizioni previste per gli accordi di ristrutturazione a efficacia estesa.

Una volta stipulata, la convenzione deve essere comunicata, unitamente alla relazione del professionista, ai creditori non aderenti.

Entro trenta giorni dalla comunicazione può essere proposta opposizione avanti al tribunale, che decide in camera di consiglio con sentenza, reclamabile ai sensi dell’art. 51CCII.

Per effetto della convenzione, ai creditori della medesima categoria non aderenti non possono essere imposti l’esecuzione di nuove prestazioni, la concessione di affidamenti, il mantenimento della possibilità di utilizzare affidamenti esistenti o l’erogazione di nuovi finanziamenti. Non è considerata nuova prestazione la prosecuzione della concessione del godimento di beni oggetto di locazione finanziaria già stipulati.

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L’art. 63 CCII regolamenta la transazione fiscale e contributiva con riferimento agli accordi di ristrutturazione dei debiti e nell’art. 88 dedicato al concordato preventivo prevede che nell’ambito delle trattative che precedono la stipulazione degli accordi di ristrutturazione di cui agli articoli 57, 60 e 61 CCII il debitore può proporre il pagamento parziale o anche dilazionato dei tributi e dei relativi accessori amministrati dalle Agenzie fiscali, nonché dei contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza, assistenza e assicurazione per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti obbligatorie e dei relativi accessori.

La proposta di transazione fiscale e previdenziale deve essere accompagnata dall’attestazione di un professionista indipendente che, relativamente ai crediti fiscali e previdenziali, deve inerire anche alla convenienza del trattamento proposto rispetto alla liquidazione giudiziale; tale circostanza costituisce oggetto di specifica valutazione da parte del tribunale.

Il comma 2bis dell’articolo 63 CCII prevede che il Tribunale può omologare gli accordi di ristrutturazione anche in mancanza di adesione da parte dell’Amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie quando l’adesione è determinante ai fini del raggiungimento delle percentuali del 60% (o del 30% nel caso dell’accordo di ristrutturazione agevolato) dei crediti richieste per l’omologazione di detti accordi e, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista indipendente, la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie è conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria.

La transazione conclusa nell’ambito degli accordi di ristrutturazione è risolta di diritto se il debitore non esegue integralmente, entro 60 giorni dalle scadenze previste, i pagamenti dovuti alle agenzie fiscali e agli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie.

  1. PIANI DI RISTRUTTURAZIONE SOGGETTI AD OMOLOGAZIONE

Tra gli interventi più significativi contenuti nel Codice della Crisi si annovera la figura del piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO) (artt. 64-bis ss CCII).

Il PRO è lo strumento con il quale si è inteso dare attuazione alla previsione dell’art. 11, par. 1 della direttiva insolvency, che consente al debitore che si trova in stato di crisi o di insolvenza, previa l’obbligatoria suddivisione dei creditori in classi secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei, di distribuire il ricavato del piano in deroga ai vincoli di distribuzione previsti per le procedure concorsuali dagli artt. 2740 e 2741 c.c. (fatti salvi i diritti dei lavoratori che devono essere soddisfatti integralmente entro 30 giorni dall’omologazione), e che per poter essere omologato richiede che la proposta sia approvata dall’unanimità delle classi.

Questa nuova figura, benché venga collocata dai primi commentatori “in una posizione intermedia tra il concordato preventivo – da cui si distanzia per l’assenza di una regola distributiva – e l’accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa – da cui si distanza perché non impone che i creditori estranei siano soddisfatti per l’intero”, presenta le caratteristiche tipiche del concordato preventivo, e più precisamente di un concordato in continuità (nella misura in cui all’art. 64-bis CCII non si fa mai riferimento alla liquidazione dei beni e – nell’affermare che nel PRO trovano applicazione le disposizioni di cui alla Sezione IV del Capo III del Titolo IV – (esclude espressamente le disposizioni di cui all’art. 114, che tratta del concordato con cessione di beni riprendendo l’art. 182 l. fall.).

Le principali differenze rispetto al concordato sono:

  1. l’obbligatorietà della suddivisione in classi;
  2. l’approvazione del piano da parte della maggioranza dei crediti ammessi al voto in tutte le classi ai fini dell’omologazione;
  3. la possibilità di derogare all’ordine delle cause legittime di prelazione (art. 2741 c.c.) in sede di distribuzione delle somme;
  4. l’obbligo di pagamento dei lavoratori dipendenti entro 30 giorni dall’omologazione;
  5. il mantenimento della gestione ordinaria e straordinaria dell’impresa sotto la vigilanza del commissario giudiziale, “nel prevalente interesse dei creditori”.

Se il piano di ristrutturazione non è approvato da tutte le classi, il debitore ha la facoltà di modificare la domanda, formulando la proposta di concordato (art. 64-quater CCII); in tal caso, i termini per l’approvazione della proposta sono dimezzati.  È previso anche il passaggio inverso: il debitore può abbandonare la procedura di concordato preventivo per proporre una domanda di omologazione del piano di ristrutturazione (ciò è consentito fino all’inizio delle operazioni di voto disposte al momento dell’apertura del concordato).

  1. CONCORDATO PREVENTIVO

La nuova disciplina del concordato preventivo (artt. 84-120 Codice della crisi) consente alle imprese in stato di crisi o di insolvenza di proporre un concordato che realizzi, sulla base di un piano avente il contenuto delineato dalla legge (art. 87), il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione giudiziale, attraverso (i) la continuità aziendale, (ii) la liquidazione del patrimonio, (iii) l’attribuzione delle attività ad un assuntore (fermo il fatto che possono costituirsi come assuntori anche i creditori o società da questi partecipate) o, infine, (iv) in altra forma idonea a realizzare tale obiettivo.

Nella domanda di concordato il debitore deve indicare le ragioni per cui la proposta concordataria risulta preferibile rispetto alla liquidazione giudiziale.

Il piano concordatario deve essere accompagnato dalla relazione di un professionista indipendente, che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano e, in caso di continuità aziendale, che (i) il piano è diretto ad impedire o superare l’insolvenza del debitore, (ii) a garantire la sostenibilità economica dell’impresa e (iii) a riconoscere a ciascun creditore un trattamento non deteriore rispetto a quello che riceverebbe in caso di liquidazione giudiziale.

In ogni caso, in ragione del principio fondamentale della equivalenza o non deteriorità del trattamento dei creditori nel concordato rispetto a quello realizzabile nella liquidazione giudiziale, il piano concordatario deve indicare, attraverso apposita stima, il valore di liquidazione del patrimonio alla data della domanda di concordato, in ipotesi di liquidazione giudiziale.

La nuova legge, conformemente alla ratio generale che ispira l’intervento normativo, tende ad incoraggiare quanto più possibile la continuità aziendale rispetto alle mere finalità liquidatorie.

Due comunque sono i principali modelli di concordato preventivo delineati:

  • Concordato preventivo con continuità aziendale, che può essere diretta, da parte dell’imprenditore che ha presentato la domanda di concordato, o indiretta, ossia tramite la previsione nel piano della gestione dell’azienda da parte di un soggetto diverso dal debitore in forza di cessione, conferimento o affitto di azienda, anche stipulato anteriormente, ma in funzione della presentazione della domanda di concordato. La continuità aziendale tutela l’interesse dei creditori e preserva, nella misura possibile, i posti di lavoro.

La proposta di concordato prevede per ciascun creditore un’utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile, che può consistere anche nella prosecuzione o rinnovazione dei rapporti contrattuali con il debitore o con il suo avente causa. In ogni caso, il piano deve prevedere la suddivisione dei creditori in classi, con trattamenti differenziati in base alla loro qualificazione giuridica e ai rispettivi interessi economici.

Il valore di liquidazione deve essere assegnato ai creditori in base al criterio della cd. priorità assoluta, ossia nel rispetto delle cause legittime di prelazione, mentre la plusvalenza derivante dalla continuità aziendale può essere assegnata ai creditori in base alla regola della cd. priorità relativa. Ciò significa che è sufficiente che i crediti compresi in una classe ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi di pari grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore. Fanno eccezione i crediti dei lavoratori, che sono sempre soddisfatti nel rispetto delle cause legittime di prelazione, sia sul valore di liquidazione sia sul valore eccedente il valore di liquidazione.

  • Concordato preventivo con finalità liquidatorie, che è ipotesi sostanzialmente residuale, talché,per favorire la continuità aziendale, l’accesso a tale strumento è consentito solo se risorse esterne aumentino l’attivo disponibile al momento della presentazione della domanda di almeno il 10%, assicurando il soddisfacimento dei creditori chirografari e dei creditori privilegiati degradati per incapienza, in misura non inferiore al 20% del loro ammontare complessivo. La previsione di quest’ultimo limite e dell’apporto esterno quali requisiti di ammissibilità della procedura ne determina un ridimensionamento rispetto alla figura del concordato con continuità che non prevede analoghi obblighi.

Si considerano esterne le risorse apportate a qualunque titolo dai soci, senza obbligo di restituzione o con vincolo di postergazione, di cui il piano prevede la diretta destinazione a vantaggio dei creditori concorsuali.

Le risorse esterne possono essere distribuite in deroga alle previsioni di cui agli artt. 2740 e 2741 c.c., in tema di responsabilità patrimoniale del debitore, concorso dei creditori e cause di prelazione, purché sia rispettato il requisito del 20%, ovvero possono essere assegnate senza dover osservare la precedenza assoluta a beneficio dei privilegiati, potendo anzi essere attribuite integralmente ai chirografari.

Con tale ultima novità normativa il legislatore ha di fatto codificato un precedente orientamento giurisprudenziale.

Del decreto di apertura della procedura viene data pubblicità, a cura del commissario giudiziale, anche tramite trascrizione nei pubblici registri, se il debitore possiede beni immobili o altri beni soggetti a registrazione.

Quanto alla disciplina degli effetti della presentazione della domanda di concordato, ferma la previsione di cui all’art. 168 l.f. (“Dalla data della pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese e fino al momento in cui il decreto di omologazione del concordato preventivo diventa definitivo, i creditori per titolo o causa anteriore [al decreto] non possono, sotto pena di nullità, iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore”), la nuova disciplina sancisce il principio del c.d. spossessamento attenuato del debitore, il quale dalla data di presentazione della domanda di accesso al concordato preventivo e fino all’omologazione conserva l’amministrazione dei suoi beni e l’esercizio dell’impresa “sotto la vigilanza del commissario giudiziale”.

Pertanto, gli atti che eccedono l’ordinaria amministrazione devono essere autorizzati dal tribunale (nel periodo compreso tra il deposito della domanda e il decreto di apertura della procedura), ferma in mancanza la loro inefficacia e, nel caso di ricorso con riserva ai sensi dell’art. 44, anche la revoca del decreto che dispone la procedura.

Sono altresì inefficaci nei confronti dei creditori anteriori al concordato le transazioni, i compromessi, gli atti di alienazione di beni immobili e di partecipazioni societarie, le concessioni di ipoteche o di pegno, le fidejussioni, le rinunzie alle liti, le cancellazioni di ipoteche e restituzioni di pegni e, in genere, gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione compiuti dal debitore senza l’autorizzazione del giudice delegato, nel periodo compreso tra la domanda di concordato e il decreto di omologazione.

Tra gli effetti della presentazione della domanda di concordato, ruolo centrale riveste la sorte dei contratti pendenti, per i quali in via generale è sancita la regola della prosecuzione (art. 97) e della inefficacia di eventuale patto contrario.

La richiesta di sospensione o scioglimento può essere formulata dal debitore, se la prosecuzione non è coerente con le previsioni del piano né funzionale alla sua esecuzione. Con l’istanza, il debitore propone anche una quantificazione dell’indennizzo dovuto alla controparte contrattuale, di cui si tiene conto nel piano per la determinazione del fabbisogno concordatario.

La controparte può opporsi all’istanza del debitore, ma in ogni caso – sino alla decisione dell’autorità giudiziaria e, in genere, sino alla notifica del provvedimento autorizzativo della sospensione o dello scioglimento – non può pretendere l’adempimento né invocare la risoluzione del contratto per inadempimento, rispetto a obbligazioni con scadenza successiva al deposito della domanda di concordato.

Nel caso di autorizzazione alla sospensione o allo scioglimento, l’altro contraente ha diritto ad un indennizzo “equivalente al risarcimento del danno conseguente al mancato adempimento”, che viene soddisfatto come credito chirografario anteriore al concordato.

Specifiche disposizioni sono dettate in materia di contratti di locazione finanziaria e di finanziamento bancario ai commi 12 e 14 dell’art. 97, su cui ci soffermeremo più avanti.

È esclusa l’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 97 ai rapporti di lavoro subordinato.

Peculiare disciplina è dettata poi per il caso dei contratti pendenti nel concordato in continuità (art. 94 bis): i creditori non possono rifiutare l’adempimento dei contratti in corso o invocarne la risoluzione, né anticiparne la scadenza o modificarli in danno del debitore per il solo fatto del deposito della domanda di ammissione alla procedura e della eventuale concessione di misure protettive o cautelari.

Ed, in particolare, i creditori interessati dalle misure protettive non possono (i) rifiutare l’adempimento dei contratti essenziali in corso di esecuzione, ossia dei contratti necessari per la continuazione della gestione corrente dell’impresa, inclusi i contratti relativi alle forniture la cui interruzione impedisce la prosecuzione dell’attività.; (ii) né provocarne la risoluzione o anticiparne la scadenza o modificarli in danno del debitore, per il solo fatto del mancato pagamento dei crediti anteriori alla domanda di accesso alla procedura.

In sostanza, pare potersi concludere che, nel caso di concordato in continuità, il creditore non può risolvere i contratti pendenti, nell’ipotesi di inadempimento anteriore alla domanda, solo laddove si tratti di contratti essenziali, perché la formulazione della prima parte dell’art. 94 bis lascia intendere che non si possa procedere alla risoluzione in conseguenza del solo fatto della domanda di accesso alla procedura, ma non anche alla risoluzione per inadempimento anteriore alla domanda. La stessa considerazione, d’altra parte, può farsi per i contratti pendenti in caso di altro tipo di concordato, come quello liquidatorio.

In ogni caso, i debiti maturati prima del deposito del ricorso restano chirografari anche nell’ipotesi di prosecuzione del contratto.

Il Codice ha, infine, introdotto il concordato ‘minore’, una procedura semplificata per il concordato delle piccole imprese (e in genere dei soggetti di cui all’art. 2 comma 1 lett. C) in stato di sovraindebitamento (artt. 74 e ss.), che può essere richiesto quando consente di proseguire l’attività imprenditoriale o professionale.

  1. LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE

La nuova disciplina prevista dal CCII (artt. 121 ss. CCII) non modifica radicalmente la vecchia procedura concorsuale, pur assegnando alla vecchia procedura fallimentare – ora denominata “liquidazione giudiziale” – un ruolo residuale, di extrema ratio rispetto agli altri strumenti di soluzione della crisi.

Di seguito le principali novità:

  1. sono state adottate misure volte a rendere più centrale il ruolo del curatore, il quale può promuovere autonomamente le azioni di responsabilità senza dover attendere il parere del comitato dei creditori e l’autorizzazione del tribunale; sono stati introdotti nuovi obblighi informativi in capo al curatore, che deve ora tenere e aggiornare regolarmente un registro accessibile al tribunale e al comitato dei creditori;
  2. con riguardo ai contratti pendenti, è stata prevista – nell’ipotesi di prosecuzione del contratto – la prededucibilità dei crediti maturati esclusivamente nel corso della procedura; nuove specifiche disposizioni concernono lo scioglimento del contratto preliminare di compravendita e i contratti di carattere personale;
  3. una nuova specifica disciplina è stata introdotta per il contratto di affitto di azienda che crea un distinguo tra il caso di apertura della liquidazione giudiziale in capo al concedente, da quella in cui il debitore sia l’affittuario;
  4. è stato modificato il ruolo del comitato dei creditori, non più necessario nell’ambito delle procedure minori e semplificato nel contesto della liquidazione giudiziale;
  5. è stato modificato il sistema di accertamento del passivo al fine di improntarlo a criteri di maggiore rapidità, snellezza e concentrazione, ragione per cui il termine per la presentazione delle domande tardive è ridotto a 6 mesi (e non più 12);
  6. è stato individuato l’obiettivo di trasparenza ed efficienza delle operazioni di liquidazione dell’attivo, con la previsione di un obbligo di stima dei beni, del ricorso al portale delle vendite pubbliche, di una durata massima della procedura (5 anni prorogabili a 7) e con la previsione di disposizioni specifiche sulla vendita dei beni, in particolare riguardo al numero di tentativi da esperire ed al prezzo di aggiudicazione, attribuendo significativi poteri al giudice delegato;
  7. è stata accelerata la chiusura della procedura liquidatoria (implementando quanto già previsto all’art. 118 l. fall.);
  8. il computo del periodo “sospetto” entro il quale individuare atti, pagamenti e garanzie revocabili non decorrerà più dalla pronuncia di liquidazione giudiziale, bensì dal “deposito della domanda cui è seguita l’apertura della liquidazione giudiziale”;
  9. è previsto che il concordato nella liquidazione giudiziale (già concordato fallimentare) possa essere proposto dal debitore solo se risulta previsto l’apporto di risorse che incrementino il valore dell’attivo di almeno il 10%.

9. FOCUS: CONTRATTI BANCARI E FINANZIARI NEL NUOVO CCIII

  • nella Composizione negoziata della crisi

Con l’art. 16 co. 5 CCII, gli istituti di credito vanno incontro ad un obbligo espressamente previsto dalla legge di partecipare, in maniera attiva ed informata, alle trattative di rinegoziazione del debito dell’impresa. Tale obbligo viene esteso ai loro mandatari e cessionari dei crediti.

Oltre il generale dovere di comportamento secondo buona fede, vi è la previsione del dovere di dare riscontro tramite risposte tempestive e motivate, alle proposte formulate durante le trattative dall’imprenditore.

La composizione negoziata della crisi non costituisce, di per sé, causa di revoca degli affidamenti bancari concessi all’imprenditore, poiché ci si è posti in un’ottica incentivante per l’imprenditore di aderire a queste procedure. Nel caso in cui dovesse esservi la possibilità di sospensione degli affidamenti da parte delle banche, l’imprenditore potrà fare istanza al Tribunale affinché venga ripristinata la situazione precedente.

  • negli Accordi di Ristrutturazione “ad efficacia estesa

Il comma 5 dell’art. 61 CCII, similmente a quanto precedentemente previsto dall’art. 182-septies l. fall., prende in considerazione l’ipotesi in cui l’impresa abbia debiti verso le banche e gli intermediari finanziari, benché “in misura non inferiore alla metà dell’indebitamento complessivo”.

Nel caso in cui l’accordo di ristrutturazione individui una o più categorie tra tali tipologie di creditori, aventi “posizione giuridica ed interessi economici omogenei”, il debitore può chiedere che gli effetti dell’accordo vengano estesi anche ai creditori non aderenti ma appartenenti alla medesima categoria. Tale previsione ricorre anche nell’ipotesi di accordo avente carattere liquidatorio.

Restano, in ogni caso, fermi i diritti degli altri creditori diversi da banche e intermediari finanziari.

  • nel Concordato preventivo

Il comma 12 dell’art. 97 – in riferimento al contratto di locazione finanziaria – prevede, in caso di scioglimento del contratto, il diritto alla restituzione del bene in capo al concedente, il quale è tenuto a versare al debitore il ricavato dalla vendita o da altra allocazione del bene avvenuta a valori di mercato, riprendendo così la disciplina prevista dall’art. 1, co, 139, L. n. 124 del 2017.

Con la specificazione che andrà sottratta «una somma pari all’ammontare dei canoni scaduti e non pagati fino alla data dello scioglimento, dei canoni a scadere, solo in linea capitale, e del prezzo pattuito per l’esercizio dell’opzione finale di acquisto, nonché le spese anticipate per il recupero del bene, la stima e la sua conservazione per il tempo necessario alla vendita», il nuovo CCII ha precisato le componenti da detrarre al valore ricavato dalla vendita o da altra allocazione del bene, creando una differenza rispetto alla legge fallimentare lì dove veniva sancito l’obbligo del concedente «a versare al debitore l’eventuale differenza fra la maggiore somma ricavata dalla vendita o dal altra collocazione del bene stesso avvenute a valori di mercato rispetto al credito residuo in linea capitale». È, invece, rimasto invariato quanto disposto dall’art. 169-bis l.fall., riguardo all’ipotesi in cui il valore realizzato dalla vendita sia inferiore rispetto al credito vantato dal concedente, che ha, in tale caso, diritto a concorrere nel concordato per la differenza. Vengono esclusi dal computo gli interessi sulle rate a scadere successivamente alla data del deposito della domanda di concordato.

Nel concordato preventivo, i finanziamenti bancari c.d. “autoliquidanti” vengono presi in considerazione dal comma 14 dell’art. 97. Tali contratti hanno per oggetto la cessione da parte del cliente alla banca di crediti non ancora scaduti in corrispettivo di una somma di denaro, cosicché sarà la banca ad agire per la riscossione del credito nei confronti del terzo debitore. Il dubbio che ci si poneva in passato, risolto dalla norma in esame, era relativo all’appartenenza di tale fattispecie alla categoria dei contratti pendenti. È stato adesso stabilito che l’attività di riscossione costituisce prestazione principale ai sensi del comma 1 dell’art. 97, e che, quindi, il contratto è da considerarsi pendente fin quando non sia terminata l’attività di riscossione diretta. L’importanza dell’attribuire la qualifica giuridica di “contratto pendente” consiste nel legittimare il debitore a chiedere l’autorizzazione alla sospensione o allo scioglimento del contratto.

  • nella Liquidazione giudiziale

Quanto precedentemente stabilito dall’art. 72-quater l. fall. viene ripreso dall’art. 177 CCII, che detta una specifica disciplina degli effetti della liquidazione giudiziale sul contratto di locazione finanziaria.

Nell’ipotesi di apertura della liquidazione giudiziale a carico dell’utilizzatore del bene concesso in locazione finanziaria, il curatore ha facoltà di scegliere se proseguire nel contratto di leasing o meno. Qualora optasse per lo scioglimento, il concedente ha diritto a ottenere la restituzione del bene ed è tenuto a versare alla curatela l’eventuale differenza fra:

  • la maggior somma ricavata dalla vendita o da ulteriore collocazione del bene restituito, avvenute a valori di mercato,
  • la somma pari all’ammontare di canoni scaduti e non corrisposti fino alla data dello scioglimento del contratto, dei canoni a scadere (in linea capitale) e del corrispettivo pattuito per l’esercizio dell’opzione finale di acquisto rispetto al credito residuo in linea capitale.

In caso di prosecuzione del rapporto contrattuale, il concedente ha diritto (i) a ritenere i canoni già incassati, (ii) a ottenere in prededuzione il pagamento dei canoni scaduti e non percepiti al tempo di apertura della liquidazione giudiziale (come passività afferente ai beni pervenuti nel corso della procedura) e, infine, (iii) a ottenere, in prededuzione, il pagamento dei canoni con scadenza postergata all’apertura della liquidazione giudiziale.

Al secondo comma dell’art. 177 del CCII, viene previsto il diritto per il concedente di insinuarsi allo stato passivo per la differenza tra il credito vantato alla data di apertura della liquidazione giudiziale e quanto ricavabile dalla nuova allocazione del bene secondo la stima disposta dal giudice delegato. È adesso espressamente prevista la stima del giudice delegato, quale necessario presidio per determinare il valore di mercato del bene, già desumibile dal sistema della legge fallimentare, seppure non esplicitata nella disposizione della l. fall., art. 72-quater.

Resta aperta la questione relativa all’ipotesi in cui il contratto di leasing sia stato già risolto – per inadempimento dell’utilizzatore – prima dell’apertura della liquidazione giudiziale. Nel silenzio normativo, deve ritenersi applicabile il principio, già stabilito dalla giurisprudenza in funzione nomofilattica (Cassazione, Sezioni Unite 2061/2021), secondo il quale:

– per le risoluzioni avvenute prima del 29 agosto 2017, trova applicazione l’art. 1526 c.c.;

– per le risoluzioni avvenute dopo del 29 agosto 2017, trova applicazione la legge 124/2017.

L’art. 183 CCII, disciplina i contratti di conto corrente, anche bancario, e di commissione, stabilendo che vengono sciolti per effetto dell’apertura della liquidazione giudiziale nei confronti di una delle parti.

L’art. 211 CCII, infine, stabilisce che i contratti pendenti – e tra questi i contratti di locazione finanziaria – proseguono quale naturale effetto della continuità aziendale, salva la facoltà di scioglimento esercitabile dal curatore.

  1. FOCUS: PROFILI PENALI

Sul versante delle disposizioni penali, non si riscontrano particolari novità rispetto alle previsioni contenute nel Titolo VI della Legge Fallimentare.

Le fattispecie incriminatrici (reati commessi dall’imprenditore in liquidazione giudiziale; reati commessi da persone diverse dall’imprenditore in liquidazione giudiziale; disposizioni applicabili nel caso di concordato preventivo, accordi di ristrutturazione dei debiti, piani attestati e liquidazione coatta amministrativa; reati commessi nelle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento) sono rimaste immutate nella loro struttura essenziale e sono state adattate al nuovo contesto normativo del Codice della Crisi.

a) Fattispecie incriminatrici

Di seguito, i principali profili innovativi in relazione alle fattispecie incriminatrici di cui al CCII:

  1. Sostituzioni e adeguamenti lessicali: l’intervento principale del legislatore consiste nella sostituzione del termine “fallimento” con “liquidazione giudiziale” e del termine “fallito” con “imprenditore in liquidazione giudiziale”;
  2. Nuove esenzioni da punibilità: ai sensi dell’art. 324 CCII, le fattispecie di bancarotta preferenziale e bancarotta semplice non si applicano alle operazioni compiute in esecuzione di un concordato preventivo o di accordi di ristrutturazione dei debiti omologati o degli accordi in esecuzione del piano attestato ovvero del concordato minore omologato ai sensi dell’articolo 80, ai pagamenti e alle operazioni di finanziamento autorizzati dal giudice a norma degli artt. 99, 100 e 101 CCII (nell’ambito delle procedure di concordato preventivo ed accordo di ristrutturazione dei debiti), nonché ai pagamenti e alle operazioni autorizzati dal Tribunale a norma dell’art. 22 CCII (nell’ambito delle procedure di composizione negoziata della crisi);
  3. Estensione della punibilità: il Codice della Crisi prevede la punibilità dei fatti di bancarotta anche nelle ipotesi in cui l’imprenditore scelga di accedere alle nuove procedure di liquidazione (accordi di ristrutturazione a efficacia estesa, convenzioni di moratoria, accordi di ristrutturazione omologati in mancanza di adesione da parte dall’amministrazione finanziaria o degli enti previdenziali).

Con riferimento al reato di ricorso abusivo al credito di cui all’art. 315 CCII, il legislatore non ha previsto ipotesi di esenzioni da punibilità.

Inoltre, analogamente a quanto previsto per la medesima fattispecie incriminatrice di cui all’art. 218 della Legge Fallimentare, il reato è astrattamente configurabile anche nell’ipotesi in cui la procedura di liquidazione giudiziale non sia ancora aperta.

Il reato in questione non si configura invece nel caso in cui l’imprenditore abbia richiesto un finanziamento per l’esecuzione di un concordato preventivo, di un accordo di ristrutturazione dei debiti, di un piano di risanamento o di un accordo di composizione della crisi, in quanto il ricorso alla leva finanziaria deve necessariamente essere autorizzato dal Tribunale.

In ogni caso, la condotta della banca che incautamente concede credito all’imprenditore che versi in stato di crisi o di insolvenza, qualificata come “concessione abusiva di credito”, può rilevare esclusivamente da un punto di vista civilistico.

 b) Misure cautelari penali. rapporti con la procedura di liquidazione giudiziale.

Una ulteriore importante novità si riscontra in materia di misure cautelari penali.

Il Codice della Crisi detta una disciplina specifica al problema del rapporto tra misure cautelari penali e liquidazione giudiziale, utilizzando come riferimento il modello previsto dal d.lgs. 159/2011, cosiddetto Codice Antimafia (in prosieguo anche “CAM”).

Invero, l’art. 317 CCII stabilisce che le condizioni e i criteri di prevalenza delle misure cautelari reali (ossia i soli sequestri finalizzati alla confisca) rispetto alla gestione concorsuale (ossia rispetto alla liquidazione giudiziale) sono regolate dalle disposizioni del Libro I, titolo IV CAM.

In buona sostanza, fatte salve le ipotesi di cui agli artt. 318 (sequestro preventivo) e 319 (sequestro conservativo) CCII, ai sensi del combinato disposto degli artt. 317 CCII e 104-bis delle disp. att. cod. proc. pen.:

  • nel caso in cui il sequestro preceda l’apertura della liquidazione giudiziale, i beni assoggettati alla misura cautelare sono esclusi dalla massa attiva della procedura, e la verifica dei crediti e dei diritti inerenti ai rapporti relativi ai suddetti beni compete al giudice che ha disposto la cautela;
  • nel caso in cui il sequestro sia successivo all’apertura della liquidazione giudiziale, i crediti vantati sui beni sequestrati, previa verifica del giudice delegato, sono soddisfatti sulla base di un apposito piano di pagamento, sempre nell’ambito del procedimento di prevenzione.

In buona sostanza, indipendentemente dal fatto che il sequestro sia anteriore o posteriore all’apertura della liquidazione giudiziale, i beni che ne sono interessati escono definitivamente dalla massa attiva della procedura concorsuale.

Per converso, il menzionato principio di prevalenza delle misure cautelari non trova applicazione in materia di sequestro preventivo e sequestro conservativo (non finalizzato alla confisca) ai sensi degli artt. 318 e 319 CCII.

Tale distinzione è motivata dal fatto che il legislatore, nelle ipotesi in commento, non rinviene l’esistenza di un interesse prevalente – e per tale ragione, meritevole di tutela rafforzata – sugli interessi della massa dei creditori dell’imprenditore in liquidazione giudiziale.

 Pertanto, sui beni acquisiti alla procedura di liquidazione giudiziale, non possono essere disposti sequestri preventivi o conservativi (non finalizzati alla confisca) e, se all’apertura della procedura di liquidazione segue l’adozione di un sequestro preventivo o conservativo, il giudice, a richiesta del curatore, revoca il decreto di sequestro e dispone la restituzione alla procedura dei beni sequestrati.

c) Misure cautelari penali: crediti e diritti dei terzi sui beni oggetto di misura cautelare reale.

Ulteriore aspetto da approfondire è la sorte dei crediti e dei diritti dei terzi sui beni oggetto di sequestro finalizzato alla confisca.

Anche in questo ambito opera il principio di prevalenza delle misure cautelari, e i diritti di credito o dei terzi soccombono di fronte all’interesse pubblico perseguito attraverso la misura ablatoria, fatti salvi quei crediti e quei diritti che risultino da atti aventi data certa anteriore al sequestro, in base quanto previsto dall’art. 52 CAM.

Tale norma postula infatti che il sequestro e la confisca non pregiudicano “i diritti di credito dei terzi che risultano da atti aventi data certa anteriore al sequestro, nonché i diritti reali di garanzia costituiti in epoca anteriore al sequestro”, a condizione “che il debitore non disponga di altri beni sui quali esercitare la garanzia patrimoniale idonea al soddisfacimento del credito, salvo che per i crediti assistiti da cause legittime di prelazione su beni sequestrati” e che “il credito non sia strumentale all’attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego, sempre che il creditore dimostri la buona fede e l’incolpevole affidamento”.

La stessa norma prevede che i diritti vantati dai terzi o i diritti di prelazione sulla res sequestrata debbano essere sottoposti ad accertamento e verifica giudiziale ex art. 57 CAM.

Tuttavia, una volta verificata positivamente la sussistenza del diritto in capo al terzo, la sua soddisfazione o attuazione incontra alcuni limiti.

In particolare, i crediti aventi titolo anteriore al sequestro, a mente dell’art. 53 CAM, sono soddisfatti dallo Stato al 60% del valore dei beni confiscati o sequestrati, risultante dal valore di stima o dalla minor somma eventualmente ricavata dalla vendita dei beni stessi, al netto delle spese del procedimento di confisca nonché di amministrazione dei beni sequestrati.

In buona sostanza, in ipotesi di ipoteca a favore di un istituto di credito – a seguito, ad esempio, di erogazione di mutuo – che risulti iscritta su un bene immobile in data anteriore alla trascrizione del sequestro, il diritto del creditore prevale rispetto agli interessi pubblicistici sottesi al sequestro.

Tuttavia, il creditore ipotecario troverà soddisfazione del suo credito nei limiti del 60 % del valore del bene confiscato o sequestrato, risultante dal valore di stima o dalla minor somma eventualmente ricavata dalla vendita del bene.

Diversa è invece l’ipotesi in cui il sequestro riguardi un bene in leasing.

La giurisprudenza prevalente ha infatti evidenziato come i beni oggetto di contratti di leasing, siano insequestrabili, nel caso in cui sia dimostrata la buona fede del concedente e il bene non sia strumentale all’attività illecita o non costituisca profitto del reato (da ultimo, vedasi Cass. Pen., Sez. III, 20 giugno 2017, n. 3295).